Saggi marinai e naufraghi della terra ferma

 

Non mi piacciono i coccodrilli, quelle retrospettive post mortem su chi ci ha lasciato. Non mi piace la retorica, preferisco la poesia. Piango spesso quasi per necessità fisiologica due o tre volte al giorno ma preferisco alle lacrime di gran lunga il sorriso, il sorriso dello sguardo prima che della bocca e Vincenzo Consolo aveva il sorriso dello sguardo, quel “sorriso dell’ignoto marinaio” siciliano in cui si era riconosciuto e di cui con compiaciuto narcisismo, come Antonello da Messina, si era innamorato. La scorsa primavera ho girato in lungo e in largo questo nostro stivaletto per raccogliere le dichiarazioni di testimoni più o meno illustri per i 150 anni di Unità e ho avuto la fortuna di trascorrere un intero pomeriggio con Vincenzo Consolo e la sua amata consorte per registrare un’intervista che aveva faticato a concedere. Alla fine poi aveva ceduto come un padre con i figli che implorano e ci aveva aperto casa sua, con la calda ospitalità della nostra gente, offrendoci acqua fresca e succo di limone in un’insolita afosa giornata milanese. Un siciliano arrivato a Milano ventenne, un auto-esiliato per amore della verità della letteratura e della sua stessa Sicilia la cui visione gli dava gioia infinita e strazio per il destino infame a cui la malavita l’aveva relegata.

 

Per prima cosa ci mostrò un disegno di Pasolini, lo scrittore emiliano l’aveva fatto su un foglietto a penna durante una premiazione e lui l’aveva gelosamente incorniciato per tenere vivala memoria dell’amico, la semplicità del ritratto quasi infantile di un uomo, l’attimo di sospensione del pensiero che segue la penna e non il discorso. Ci guardava con affetto e con sospetto: quella piccola troupe di Roma con il direttore dellafotografia che riparava la presa della luce fusa e che spostava i mobili per creare un set in quella sua casa luminosa piena di libri di stampe di disegni di arte, di amore insomma, ed io che guardavo tutto e tutto mi parlava perchè non un solo oggetto era privo di senso. Non lesinava le parole Consolo, parlammo della meraviglia dei paesaggi siciliani, della decadenza del nostro stato sociale, avrebbe accettato di parlare per giorni piuttosto che rilasciare dichiarazioni sull’Unità d’Italia: gli pesava, lo affaticava perché aveva l’età e la saggezza che impedisce di dire bugie anche sotto tortura. Era triste perquesto nostro Paese era seccato per la sorte infame che tutta la Nazione è costretta a soffrire, nonostante la ricchezza infinita della terra dello spirito e dell’ingegno che ci ritroviamo, a volte, come un’immeritata eredità. Ad un tratto seguendo il filo dei ricordi e delle suggestioni che forse i nostri movimenti e le nostre voci emozionate gli  davano disse “Qualche anno fa ricevetti una telefonata: era un giovane studente napoletano, mi disse “ Pronto professore sono venuto a Milano ma non sono riuscito ad incontrarla.. “ Eh che speravi – gli risposi- di incontrarmi per strada?” Qualche tempo dopo il ragazzo chiamò ancora e così lo invitai per conoscerlo. Si fermò  a lungo in casa nostra rimase settimane e cominciammo lunghe conversazioniquotidiane di letteratura, di storia e di politica. Come un nipote acquisito poi spesso tornava. Ora sono anni che non chiama più neanche per un saluto, me ne rammarico, quello studente napoletano era Roberto Saviano.”

Ci rimasi di stucco, come un affamato di fronte a un sacco pieno di viveri perché quella sua confidenza aveva la passione e la generosità del nonno che rimprovera il nipote affinché cresca e l’amarezza del maestro dimenticato dal discepolo che aveva amato senza invidia. Mi sembrò un onore che affidasse a noi questo pensiero e per giorni ho anche pensato di poter contattare Saviano e redarguirlo. Avrei voluto chiamarlo per dire “ E fagliela una telefonata a Consolo ogni tanto che ti costa?”. Ma forse il messaggio non era solo per Saviano ma per tutti noi. Vorrei aver chiesto all’operatore di mettere in registrazione dal primo all’ultimo minuto di quel pomeriggio, come vorrei mostrarvi il video della sua dichiarazione sull’Unità d’Italia, una meravigliosa lectio magistralis  ma purtroppo non ne detengo i diritti e non posso condividerla. Paradosso infinito della  nostra cultura. In questi giorni molti siciliani sono in rivolta, contro il caro prezzi contro la mala politica contro l’indifferenza che genera mostri e c’è confusione e dubbio sulla genuinità dei presidi e delle manifestazioni. Chissà cosa avrebbe detto Vincenzo Consolo dei forconi della rabbia e di questo rinnovato orgoglio? Ecco questo accade quando muore un intellettuale si perde per sempre il suo sguardo sul futuro, ci si ritrova la responsabilità delle proprie azioni del proprio giudizio sul presente e il peso  di un’eredità di cui vorremmo tutti essere più meritevoli. Arrivederci Professore, continui a guardare noi poveri naufraghi di questa terra ferma con quel sorriso saggio del marinaio siciliano.

Tatiana Simmi

Foto di Cecilia Capuana

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