L’identità in una maglietta

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Prima dei ‘je suis’ e delle ‘app’ di Facebook per allineare il proprio profilo al fatto del giorno, c’era un luogo di confine simbolico che separava una sana passione o un‘idea dal fanatismo: il banchetto delle magliette ai concerti e alle manifestazioni. Ho sempre visto “il banchetto” come uno specchio deformante in cui la tua identità può sfumare, un innocente ma pericoloso portale verso il fan club.
In particolare i banchetti delle magliette alle manifestazioni di sinistra sono un tale pot pourrì di messaggi, simboli, slogan che capisci in un colpo d’occhio la difficoltà del definire un’identità della sinistra post comunista, senza rischiare di sacrificarle tutte.
La forza del comunismo stava nella semplicità dei simboli e dei messaggi: la falce e il martello erano gli strumenti del proletariato. Riconoscevano lo sforzo e il sudore del popolo come base portante della società, per la prima volta nella storia. Simboli comprensibili ovunque. Come la croce, simbolo del sacrificio di Cristo, segno di riconoscimento di ogni cristiano, il popolo, dimenticato anche da Dio, si riconosceva in falce e martello incrociati, trovava nel comunismo la speranza del riscatto e della giustizia sociale. Un paradiso che si sarebbe realizzato in terra e non in cielo. E’ anche per questa somiglianza di simboli e messaggi che il comunismo è stato tramandato come una religione mentre un’ideologia che parte da una presa di coscienza non dovrebbe mai diventare una fede, per ovvi motivi. Così come un partito non dovrebbe mai essere un fan club del leader ma una fucina d’idee e di critica costruttiva tenute insieme da valori comuni.
Comunisti, democratici di sinistra, anarchici, ambientalisti, catto-comunisti, atei, pacifisti, femministe, interventisti, antirazzisti, attivisti dei diritti umani civili e animali, insurrezionalisti, moderati, disobbedienti…e molto moltissimo altro, tutti figli, nipoti e pronipoti di quell’idea semplice che il popolo, gli emarginati, la maggioranza, il 99% diremmo oggi, dovessero determinare il proprio destino, la propria identità, formare ed esprimere le proprie opinioni in libertà e non dipendere mai più da un padre, da un padrone, da un Dio e visti gli esempi offerti dalla storia da un leader.
Volendo rianimare la sinistra oggi, rinunciando al fanatismo, all’identità di moda, al caos ma anche all’appiattimento culturale, si dovrebbe considerare l’estrema semplicità dei suoi valori fondanti e l’infinita sfumatura d’idee che questi valori hanno fatto sbocciare, scegliere quali incorniciare, quali nascondere ma in un libro alla portata di tutti, quali sacrificare per il pot pourrì del merchandising e quali ripiantare, con una certa urgenza, perché continuino a fiorire.
In questa operazione di scoperta, selezione e messa a dimora di idee e di valori avremo di nuovo un ruolo attivo nella formazione della nostra identità, non ci sarà un algoritmo a suggerirci una presa di posizione o una bella maglietta a rendere confusa ma di moda una vecchia idea.
Foto Tati Simmi – ‘No B Day’, Roma 2009

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