Screenshottare la verità

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Un mix tra un’osteria e una parrocchia. Così mi sembra questa nostra nazione educata al turismo che è tanto brava ad accogliere i clienti, con la sua bella presenza, la simpatia, il sorriso gentile e un’intelligenza fuori dal comune che le permette una dialettica che non sacrifica l’immediatezza dei messaggi alla sofistica. La professionalità che sta nel non esprimere mai chiaramente e apertamente le proprie posizioni per non perdere clienti.

Dire “pane al pane e vino al vino” non è mai stato facile a un popolo erede di poeti, filosofi, legislatori, marinai, artisti e diciamolo raffinati marïòli.

Come sembriamo schietti, sinceri noi italiani! Eppure la verità esce sempre solo nel privato di un confessionale. Quando chiude l’osteria è tutto un parlar dietro, un lamentarsi, un giudicare spiccio, un “parabolare” in latinorum ma anche un tormentarsi che non si appaga mai se non nella confessione, la pena e la redenzione di fronte al fatto che vorremmo essere uniti, come popolo, come persone nella nostra stessa coscienza, ma mai lo fummo veramente.

L’ossessione della famiglia, della comitiva, della community, la necessità di avvicinare persone già così vicine eppure così lontane anche all’interno di un solo nucleo familiare. La deriva nel branco, nella setta o nei partiti politici (per la fisionomia che assumono oggi), il bullismo, il razzismo, il classismo, l’omofobia, il narcisismo spinto al culto del sé, sono anche frutto di questa schizofrenia fatta di inclusione ed esclusione continua dal reale, di negazione della nostra condizione di singolarità materiale e di reciproca dipendenza e della necessità dei gruppi di potere di controllare e manipolare le masse, con finalità economiche e di ordine pubblico.

La Religione, la Legge, la Politica, la Cultura, l’Economia sembrano non riuscire ad assolvere nessuna felicemente, tantomeno in modo trasparente, il proprio ruolo, ovvero, non solo definire giusto e sbagliato, opportuno e inopportuno ma anche creare gli “anticorpi”, nutrire le coscienze affinché non ci sia nulla da svelare, confessare e poi punire. Perché si possa essere liberi e coscientemente rispettosi delle norme sociali ci vuole un’ impresa eroica, erculea perché siamo umani, suscettibili al vizio, all’errore, alla tentazione, al repentino cambiamento di idee e non tutti inclini ad accettare pedissequamente le regole.

Benché infiniti siano i benefici per gli utenti a partire dalla condivisione d’informazioni e di sapere, la visibilità, il divertimento, nel tentativo schizofrenico di unire ma anche di organizzare le masse il social network, l’identità digitale, si sono rivelati un concreto aiuto ai redentori ai legislatori (ai delatori di ogni classe), ai venditori di ogni genere di prodotto. Lo studio sulla manipolazione della noia (annoiarsi porta alla riflessione su se stessi, sui propri desideri reali) è forse l’elemento più interessante e più controverso di questo mezzo sempre meno nuovo perché sempre più comprensibile, anche grazie alla lungimiranza di alcuni filosofi, giornalisti, blogger o semplici internauti che hanno cominciato a ragionare sugli effetti del mezzo sulla società. Sembra ormai chiaro che, a prescindere dalle tue posizioni, sia che tu abbia un profilo fake sia che tu abbia una reale identità digitale ben ponderata, la verità, il tuo pensiero e la tua natura verranno fuori, saranno tracciate, taggate, screenshottate. Peseranno sul tuo lavoro, le tue relazioni personali, la tua credibility.

Credibility: the quality or power of inspiring belief.

Così in due giorni da santone/a potresti ritrovarti bannato. Da sfigato/a potresti ritrovarti influencer. Da marito potresti ritrovarti divorziato.
I social network hanno ridato alla piazza un uso antico, lugubre, virtuale ma ugualmente potente. Infatti la piazza non è solo svago, incontro, foro ma è anche, sempre stata, luogo della lapidazione, della gogna, del rogo e della ghigliottina.

Eliminate le esecuzioni pubbliche, il deviato o il deviante, reale o potenziale, poteva rifugiarsi nello spazio privato della sua vita in cui abbassava la serranda, chiudeva la tenda e si metteva a lavare i panni sporchi, per uscire il giorno dopo pulito alla luce del sole e poter praticare il suo lavoro, misero o fondamentale che fosse. Oggi non c’è più una serranda o un confessionale da chiudere. Non c’è più pausa nel sistema di produzione. Non c’è più spazio tra pubblico e privato, o almeno si sta ritirando repentinamente. Puoi chiudere il tuo profilo online, suicidarti virtualmente, cancellare o modificare i post non servirebbe comunque. Ricordando le parole di Marshall McLuhan:

“Le società sono sempre state plasmate più dalla natura dei mezzi di comunicazione con cui gli esseri umani comunicano che dal contenuto della comunicazione”

Credo sia importante ragionare insieme, sempre di più e meglio, sul fatto che questa nostra nostra osteria/parrocchia si affaccia da sempre su una piazza di cui abbiamo riabilitato seppur in modo virtuale, quel lato oscuro che pensavamo chiuso per sempre nel passato.

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